Maltrattamento animale: chi decide cosa è davvero abuso?
In Italia (e non solo), parlare di maltrattamento animale sembra sempre una buona notizia: nuove leggi, pene più severe, maggiore attenzione. Il mainstream politico e mediatico ha accolto con entusiasmo il nuovo DDL entrato in vigore nel maggio 2025, celebrato come un grande passo avanti nella tutela degli animali.
Ma c’è qualcosa che non torna. E no, non per sfiducia o spirito di contraddizione. Ma perché quando nessuno parla dell’altra faccia della medaglia, è bene fermarsi e chiedere: cosa ci stiamo perdendo?
Legge sul maltrattamento animale: la versione ufficiale vs. la realtà sul campo
Il nuovo DDL riconosce finalmente gli animali come esseri senzienti, rafforza le sanzioni contro la crudeltà intenzionale e promette di fermare l’abuso sistemico.
Eppure, le prime reazioni di chi lavora nel settore, dal mondo agricolo, rurale e zootecnico sono tutt’altro che entusiaste.
Allevatori e contadini sotto pressione
Molte pratiche tradizionali o familiari rischiano oggi di essere considerate “non compatibili” con il benessere animale, anche se:
- non comportano dolore o maltrattamento
- sono basate su relazioni interspecifiche profonde
- hanno una funzione ecologica, sociale o territoriale
Chi rischia di più?
- Piccoli allevatori
- Pastori
- Custodi di razze autoctone
- Reti di agricoltura contadina o rigenerativa
Il paradosso è che, mentre si colpiscono questi attori locali, i grandi allevamenti industriali — grazie a budget e apparati legali — riescono ad adeguarsi formalmente, senza cambiare davvero le condizioni degli animali.
Siamo sicuri che il benessere animale coincida sempre con un regolamento?
Siamo sicuri che la relazione profonda tra pastore e gregge sia meno etica di una gabbia conforme a normativa UE?
E nel mondo della cinofilia? La violenza invisibile
Sono un’educatrice cinofila e coadiutrice del benessere animale, da anni mi occupo di Interventi Assistiti con Animali (IAA) e formazione in ambito educativo e relazionale nella diade uomo-animale.
Il mio approccio è cognitivo zooantropologico, che riconosce l’animale come essere dotato di intenzionalità, emozioni e capacità relazionali.
Proprio per questo il nuovo DDL - che parte dal riconoscimento degli animali come esseri senzienti - mi ha colpita profondamente.
Non perché non ne condivida il principio, ma perché questa legge rischia di non affrontare un’altra grande contraddizione: quella della violenza invisibile, tollerata o addirittura promossa in nome dell’educazione o della professionalità.
Una scena vera
Ho assistito a una situazione paradossale. Una “professionista” stava lavorando con un cane destinato all’assistenza a persone fragili.
Quel cane, visibilmente stressato (aveva dissenteria, era in iper-ventilazione, si bloccava), è stato:
- trascinato su e giù per scale mobili e ascensori
- legato ad una ringhiera di vetro, mentre si ritraeva per il terrore del vuoto
Tutto questo veniva giustificato come “desensibilizzazione”.
Eppure nessuno ha parlato di maltrattamento. Perché?
- Perché non c’erano ferite visibili?
- Perché la persona era “del settore”?
- Perché il cane non ha morso?
Ed io che ero lì che strumenti avevo per proteggere e preservare quel cane?
1. Cosa dice (e non dice) la legge
Le normative, anche nel nuovo DDL, parlano di:
- ferite
- privazione di cure
- crudeltà intenzionale
Ma non c’è spazio chiaro per:
- stress cronico
- paura indotta sistematicamente
- tecniche coercitive “educative”
- segnali fisiologici di sofferenza
2. Il paradosso della “professionalità”
Molti operatori vengono considerati “esperti” solo perché lavorano in contesti “buoni” (come cani “da lavoro” o “da assistenza”).
Ma la professionalità non garantisce etica. Anzi, in molti casi si usano metodi coercitivi in nome dell’efficacia o della “tradizione”, giustificati con lo slogan “è per il bene del cane”.
L’ignoranza travestita da competenza è la forma più pericolosa di violenza!
3. Stress: il grande escluso
Stress cronico, iper-vigilanza, posture bloccate, sintomi gastrointestinali, respirazione alterata…
Tutti segnali clinici chiari. Eppure, non rientrano nei criteri oggettivi della legge per definire un abuso.
Molti animali “funzionano” solo perché sono abituati al trauma. Ma vivere in uno stato di sopravvivenza non è benessere!
4. Chi controlla?
Anche laddove ci sono ispezioni o denunce:
- chi controlla (ASL, veterinari pubblici, forze dell’ordine) non sempre ha competenze etologiche
- molte denunce vengono archiviate per “assenza di elementi oggettivi di reato”
5. Una legge scritta da chi? Per chi?
Una legge sul maltrattamento dovrebbe partire da un confronto tra etologi, veterinari comportamentalisti, educatori e associazioni.
E invece? Spesso viene scritta da giuristi o funzionari sotto pressione politica o mediatica, oppure sulla spinta di lobby (anche nel mondo dell’animalismo, che non è sempre sinonimo di etica) e rischia di essere più simbolica che realmente efficace.
Etologia ≠ Legge
Gli studi etologici ci dicono che il benessere animale è fatto anche di sicurezza emotiva, libertà di scelta, rispetto dei tempi individuali.
Ma la legge, spesso, è ferma a una visione meccanicista: se il corpo è integro, va tutto bene.
Questo gap culturale e normativo lascia spazio a gravi abusi normalizzati, legittimati o invisibili.
Serve una vera rivoluzione culturale
Se vogliamo davvero tutelare gli animali, dobbiamo:
- 📚 formare chi lavora con loro su base obbligatoria e certificata
- 📖 aggiornare il concetto di benessere animale alle conoscenze etologiche attuali
- 🧠 coinvolgere educatori etici, veterinari comportamentalisti, etologi nella scrittura delle leggi
- mettere in dialogo tutte queste competenze
- 👀 imparare a leggere i segnali degli animali, credere al loro disagio anche quando non è evidente
In sintesi
Difendere gli animali non significa solo punire i sadici. Significa riconoscere l’abuso anche quando è sottile, sistemico, invisibile.
Significa mettere in discussione ciò che abbiamo normalizzato.
Significa smettere di fidarsi degli slogan “salva animali” se nessuno ci mostra l’altra faccia della medaglia.
Gli animali non hanno voce, ma noi possiamo essere la loro eco.
A cura di Valentina Sammarco
Mi piacerebbe aprire uno spazio per lo scambio di idee.
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2 Risposte a “Benessere oltre la legge”
5. Una legge scritta da chi? Per chi?
Una legge sul maltrattamento dovrebbe partire da un confronto tra etologi, veterinari comportamentalisti, educatori e associazioni.
E invece? Spesso viene scritta da giuristi o funzionari sotto pressione politica o mediatica, oppure sulla spinta di lobby (anche nel mondo dell’animalismo, che non è sempre sinonimo di etica) e rischia di essere più simbolica che realmente efficace.
E’ questo uno dei nodi centrali.
Chi scrive le normative.
Quelloc eh credo si possa fare è conglobare in un movimento le associazioni/singoli che raccolgano quante più testimonianze possibili, su tutte le coercizioni “invisibili”, applicate anche dai contesti che ci si aspetta deontologicvamente sani.Ci vuole concretezza; e poi affidarsi ad un esperto giurista che volontaristicamente, che “stia dalal nostra parte” e, soprattutto da quella dei pelosi, possa proporre un percorso formale di modifica/integrazione del DDL
Grazie mille Mario per questo commento così lucido!
Hai centrato uno dei punti più delicati.
Trovo molto interessante e utile la tua proposta di costruire un movimento orizzontale, che sappia raccogliere testimonianze dirette, anche su quelle forme di coercizione sottili e “invisibili” che passano sotto traccia.
Credo che da lì possa nascere qualcosa di veramente trasformativo: non un “contro” a priori, ma un lavoro collettivo di revisione, radicato nell’esperienza, e accompagnato da un supporto tecnico-giuridico che sia davvero dalla parte degli animali.
Se nascesse un movimento dal basso in questa direzione, io ci sono!!
_VALE